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venerdì 22 luglio 2022

Francesco e Isabella. L'età d'oro dei Gonzaga (da Laterza).


 E' in libreria  il secondo volume della serie "I Gonzaga" edita da Laterza. L'idea è offrire un racconto innovativo ma veridico della complessa dinastia virgiliana. Con questa uscita: l'età d'oro, dominata dalle figure pionieristiche di Francesco II e Isabella d'Este.



Francesco II Gonzaga, Liberatore dell'Italia.
La pala della Vittoria del Mantegna, ora al Louvre.

 Il periodo di Isabella d'Este è forse il più trattato, e anche il più romanzato. Ne testimonia una montagna di documenti (oltre 20 mila le sole lettere della marchesa, senza contare quelle del marito), una mole, come ben capirete, difficilmente dominabile. Sulla sola Isabella si è scritto di tutto e di più. Ma in verità, ad essere sinceri, qualcuno di Voi ci ha mai capito qualcosa?

 La scommessa era dunque offrire un ritratto, completo e al tempo stesso nitido, della dinastia nel momento forse più bello e difficile per l'intera Penisola: quello che vide, tra Quattro e Cinquecento, la calata dei grandi eserciti nazionali sulle traballanti signorie dello Stivale, e i piccoli, grandi principi dei nostri Stati preunitari, barcamenarsi tra armi e compromessi. Quello di Mantova fu uno dei pochi che sopravvisse, abbagliando con la sua luce l'intero continente. E' il momento in cui il marchese Francesco II Gonzaga guida gli italiani, finalmente coalizzati in una lega patriottica, alla battaglia di Fornovo: il Mantegna ritrae il bellicoso principe nella splendida pala della Vittoria (1496). Vittoria, si badi, sui francesi, sebbene oggi la Pala, ironia della sorte, si trovi al Louvre!

 Certo molto, del successo della Casata, si deve alla splendida figura di Isabella d'Este, la donna che più di ogni altra seppe fare della nascente, moderna diplomazia, un sapiente strumento politico. Ma anche la donna che rilanciò la musica italiana; promosse in Italia (in tempi di Inquisizione) la musica profana ("leggera" diremmo oggi); creò dal nulla, forse per prima al mondo, una vera collezione (di antichità, gioielli, vasellame prezioso, monete, medaglie e argenti), offrendo il modello di quella che un giorno sarà, non solo in Europa, ma persino in Russia, la Wunderkammer.

 Finora dunque non a caso i fari dei biografi (quasi tutti donne) sono stati puntati, in un'ottica forse un po' "femminista", su di lei, a tutto discapito del marito, considerato vile e spaccone. In realtà Francesco II Gonzaga è ben di più di un semplice condottiero. Egli è crudele e al tempo stesso umano: capace di feroci massacri, ma anche di improvvisarsi a difensore dei deboli; capace, in tempi di crociata (era l'epoca della cacciata dei musulmani dalla Spagna e dal Portogallo), di sbracciare pur di procurarsi un autentico turbante, e di intrecciare una fraterna amicizia (a distanza) col gran sultano dei turchi, al punto da accoglierne grandiosamente l'ambasciatore in casa. Promuove la musica sacra (diversi elementi della sua cappella passarono presto a Roma alla cappella pontificia), e inoltre il teatro, la letteratura. Grazie a lui nasce la Galleria d'Arte, che si diffonderà in Italia e in Europa. Per non parlare poi dell'equitazione: il riferimento è alla "razza Gonzaga" che, grazie all'attenzione da lui dedicata, raggiunge una qualità forse impareggiabile, al punto che si ritiene abbia dato origine al purosangue inglese (come del resto la figura del "gentleman" deriverebbe, pressoché in parallelo, dal "gentiluomo" tratteggiato dal Castiglione nel suo "Libro del Cortegiano"). 

 A fare la grandezza di Mantova sono infatti, non ultimi, anche i cortigiani. Non a caso proprio il Castiglione è figlio di una Gonzaga, Il Boiardo invece è marito di un'altra donna della casata (colei che darà alle stampe il capolavoro del marito: quell'Orlando Innamorato che tanta influenza eserciterà sulla poetica del tempo). L'Ariosto invece è parente, alla lunga, di entrambi i ,marchesi di Mantova. Ne consegue (forse) il mecenatismo della stirpe virgiliana a suo favore, e di rimando una ricaduta di immagine della Dinastia, attraverso numerosi versi e allusioni (all'interno del poema) a personaggi e ambienti che la connotano. Non è forse un caso (curiosamente trascurato dagli storici della materia) se Isabella d'Este portava il nome della nonna Isabella di Taranto, e questa a sua volta discendeva proprio dalla casata che avrebbe dato i natali al leggendario paladino di Francia.

 Insomma la presenza dei Gonzaga domina, anche senza che ce ne accorgiamo, il nostro immaginario. Con i cortigiani i principi condividono passioni e meriti: un mantovano, Merlin Cocai, figlio di questo momento storico, creerà il teatro siciliano moderno, e influenzerà la letteratura francese (nel Gargantua et Pantagruel, un classico dell'epoca). Ma cosa dire di Battista Spagnoli, che, sconosciuto ai più, arriverà ad influenzare Shakespeare e più in generale la letteratura inglese? E' inoltre a Mantova che Angelo Poliziano getta il seme del melodramma (che proprio alla corte virgiliana spiccherà il volo con le note di Claudio Monteverdi), Accanto a Mantegna sfilano infatti Poliziano, Pico della Mirandola (anche lui parente dei Gonzaga! e naturalmente morrà assassinato, come la sorella, che sarà poi la bisnonna del più celebre esponente della Casata: san Luigi), Lorenzo il Magnifico, Leonardo da VinciDürer, perfino Lutero (anche lui passa da Mantova e soprattutto vi compie una promettente semina).

 A fare la grandezza di Mantova sono però anche gli artigiani, e le famose, troppo spesso bistrattate dal turismo di massa, arti così dette "minori" (e che minori in realtà non erano). Non dimentichiamo il successo delle cuffie mantovane nel mondo (e non solo in quello europeo), e la cura destinata alla produzione e all'accaparramento di armi e armature, che fecero dell'armeria dei Gonzaga (oggi dispersa) una leggenda, ben degna di trovar posto, con tanto di dettagli, nelle pagine del libro.

 A fare la grandezza di Mantova sono anche gli ebrei e i contadini. I primi devono proprio ai Gonzaga buona parte del loro risveglio intellettuale (nella città virgiliana nasce, a cura di un ebreo, il primo trattato di regia noto al mondo). I secondi, strumento e in parte artefici, di una rigogliosa agricoltura, si ribellano ai monaci, e trovano un alleato proprio nel nostro terribile marchese. L'episodio appare come un prodromo di quella che un giorno ancora lontano sarà l'Emilia rossa.

 Per concludere: il libro vuole offrire, attraverso la storia passata, una chiave per comprendere anche l'Europa di oggi. E per pura coincidenza è uscito il 6 luglio, anniversario della battaglia di Fornovo che nel 1495 aveva imposto il marchese di Mantova sul difficile scacchiere della politica europea.

martedì 7 giugno 2022

I Gonzaga si affacciano alla scena europea.

Dieci cardinali, due imperatrici, svariati viceré. I Gonzaga hanno dato fior di personaggi. Ma come è nata la Dinastia? e come ha potuto, muovendo da un'isola del Po, conquistare il podio della politica, fino ad incidere nella storia della Chiesa, dell'Italia, delle arti?



Luca Sarzi Amadè, I Gonzaga (Laterza).


 Non solo un blog sul duca di Sabbioneta, ma su tutto ciò che appartiene al suo "mondo". Questa premessa ci consente di parlarVi ora del volume "I Gonzaga. Una dinastia tra Medioevo e Rinascimento" (pagg. 32), Roma Bari, Laterza 2019 (in economica nel 2021). Non la semplice cronistoria, ma il "racconto" dell'ascesa della Dinastia attraverso i duri secoli del basso Medioevo fino al mattino del Rinascimento (narrazione che si conclude nel 1478, con la morte del più amato tra i Gonzaga: il marchese Ludovico II; sono quindi esclusi per forza di cose i secoli del massimo splendore e della decadenza).
 Breve sintesi. Dopo aver "militato" nelle file canossane, e aver armeggiato nelle burrascose "democrazie" comunali di Mantova e Reggio (ma anche nel clero) i Gonzaga, divenuti fiduciari e parenti dei signori della città (all'epoca i Bonacolsi), nel 1328 "fanno fuori" questi ultimi per impadronirsi del potere. Il colpo di Stato (non facile, ma "studiato" nei minimi dettagli) riesce. 
 Il racconto prosegue con sei generazioni di despoti, spesso in lizza tra loro, attraverso (almeno) un fratricidio, un uxoricidio, fino alla riunificazione dello Stato (che nel frattempo, per non scontentare tutti, era stato diviso tra fratelli), fino all'assoggettamento finale (alla Dinastia, finalmente monocefala) del vescovato e di tutte le più potenti istituzioni religiose (badie e monasteri) locali, all'ingresso del figlio secondogenito nel collegio cardinalizio (a soli 17 anni, a rigore insufficienti per ricoprire tale incarico), alla "rinascita" (economica, giuridica, civile, artistica, demografica) della città, dello Stato (di Mantova), insomma allo schiudersi del Rinascimento. Quest'ultimo è proprio il momento "fotografato" da Andrea Mantegna sulle pareti della Camera degli Sposi nel Castello cittadino, in quello che è considerato il primo, autentico ritratto di famiglia dell'era moderna (doverosamente riprodotto sulla copertina del libro). Come noto, in esso compaiono i principi al completo, i loro cortigiani, i domestici, i buffoni, gli ospiti (occasionali), persino gli adorati cani e un cavallo.
 Si tratta di un dipinto murale che "parla" meravigliosamente da solo raccontandoci esso stesso di più di quel che potssa fare ai nostri giorni qualunque servizio fotografico o televisivo. A tutt'oggi però, va precisato, non tutti i volti ritratti nell'Opera sono stati identificati (se non in minima parte).
 Il mito di una dinastia infatti passa in primo luogo attraverso i dipinti, anzi le sale che ne celebrano sui muri la mitologia.
 Alla Camera degli Sposi è anteriore la Sala del Pisanello (anch'essa oggi visibile a chiunque nel complesso del Palazzo Ducale), sulle cui pareti il più grande artista della sua generazione delineò, forse intorno al 1430, pagine epiche del mito (tutto nordico, eppure ai tempi ampiamente coltivato al di qua delle Alpi) di Re Artù.
 La dinastia dei Gonzaga infatti è legata a doppio filo con la leggenda del Sacro Graal, e in particolare con la vicenda del sangue di Cristo che, secondo la tradizione, Longino, dopo aver trafitto il costato del Messia, aveva condotto a Mantova, creando così le premesse per il culto della Reliquia, che i Gonzaga, nell'arco dei secoli, seppero sfruttare (in senso religioso, economico, politico) a proprio beneficio. Tale tematica, forse all'apparenza esoterica, costituisce il perno ideale dell'intera vicenda narrata.
 E' spesso difficile separare un mito dall'altro, e soprattutto la storia dal mito.
 Tuttavia è poco noto al grande pubblico che la dinastia disponesse anche di un proprio labaro. Proprio alle pareti della più antica tra le due sale, un occhio attento può individuare ancora oggi, nitidissime, le fattezze di un nano a cavallo, pavesato nei colori verde, bianco e rosso, a fasce verticali (incidentalmente gli stessi che vediamo oggi nella bandiera italiana). Forse infatti è soltanto un caso che proprio in una città sanguinosamente dominata nel corso del '300 dai Gonzaga (i quali ne edificarono, e certamente istoriarono, una poderosa cittadella, oggi non più esistente) -parliamo adesso, è ovvio, di Reggio Emilia-, sia nato, il 7 gennaio del 1797 il nostro, attuale, Tricolore.